Tra le tante operazioni che periodicamente interessano una impresa e che anzi sono auspicabili perché ne preservano la funzionalità e il buon posizionamento nel mercato, c’è la cosiddetta ristrutturazione aziendale. Questo termine riguarda, nello specifico, tutti quei casi in cui avviene una acquisizione o una fusione fra più strutture. Casi recenti riguardano banche, ma anche grandi industrie e compagnie note in tutta Italia, ma di solito possono comprendere tutte le aziende medio grandi, che sperano di crescere ulteriormente.
Questa è comunque una fase delicata che deve essere seguita attentamente, perché senza un profondo lavoro di riorganizzazione dietro, è molto facile per una impresa anche piuttosto nota subire delle pesanti perdite. Gli stessi clienti, a secondo dell’ambito in cui opera, possono sentirsi sbandati e confusi da tale nuova situazione. Ripensare alla produzione e alle mansioni da affidare ai dipendenti, scongiurando dei licenziamenti o dei pagamenti in ritardo, ha lo scopo di permettere di raggiungere più facilmente e prima gli obiettivi prefissati dall’imprenditore.
Qualche volta, però, l’evento in questione non si verifica per un certo benessere raggiunto e, anzi, serve a evitare la chiusura definitiva. Quando la situazione, invece, è andata proprio oltre l’azienda può appellarsi al diritto fallimentare il quale garantisce agli amministratori delegati il potere di presentare istanza di fallimento in tribunale, anche per società con i bilanci in attivo. In tal modo si può pensare a ricreare da zero una strategia di marketing, a pensare a nuovi orizzonti a volte con altri collaboratori e non di rado con un nuovo nome. E’ bene ricordare, però, che tutto questo comporta sempre una sorta di destabilizzazione aziendale, qualunque sia il motivo o l’intenzione dei capi. In una ristrutturazione aziendale, ad esempio, si assiste ad una dequalificazione nelle mansioni professionali e solo qualche volta, raramente, si riescono ad evitare i licenziamenti, anche di massa. L’impatto è comunque ridotto dai cosiddetti “ammortizzatori sociali” come la cassa integrazione.