Con il moltiplicarsi di malattie di ogni genere dovute alla scarsità del controlli di ciò che mangiamo e che viene distribuito a livello nazionale e, nello stesso tempo, con una maturata consapevolezza in campo medico e culturale, è diventata indispensabile una certificazione agroalimentare che garantisca il prodotto. Se da un lato ci sono ancora molte persone che si nutrono in modo veloce e non badano a ciò che assumono quotidianamente, dall’altro ci sono tanti individui che tengono particolarmente a deliziare il loro palato. Del resto, come si dice “siamo ciò che mangiamo”.
La certificazione agroalimentare permette di riconoscere grazie a competenti organismi terzi che un determinato prodotto è conforme ad un dato standard qualitativo. I parametri sono stati precedentemente segnati in una scala di valori variabile. Di recente è stato anche dimostrato che sempre più cittadini riconoscono le sigle più famose e le osservano con interesse. In particolare il 67% sa cosa vuol dire il termine DOC, il 41% è informato sugli alimenti DOP, il 28% punta sul termine DOCG e il 20% IGP.
Un tempo, nemmeno troppo lontano, la certificazione agroalimentare legata alla qualità, era presente soprattutto nel settore dei vini e le garanzie non superavano comunque i confini nazionali. Questo perchè ogni Paese aveva i suoi metri di paragone e degli standard ben definiti e poco si fidava di ciò che avveniva a livello internazionale.Il risultato era una totale diffidenza verso l’esterno, che certo non favoriva il turismo e neppure l’esportazione di un prodotto peculiare del territorio. Non importava che si parlasse di uno Stato a pochi chilometri di distanza o, al contrario, estremamente lontano. Tuttavia, con la nascita dell’Unione Europea la validità delle certificazioni dei prodotti vitivinicoli si è allargata a macchia d’olio fino ad interessare tutto il territorio Europeo. E’ nato, in questo modo, il regolamento CEE 2081/92 per i prodotti che portiamo in tavola, a partire dai salumi e dai formaggi.