Tempi duri per i dipendenti che a fine mese oltre allo stipendio ricevono anche i ticket da utilizzare al ristorante nella pausa pranzo. Se è vero che una buona percentuale di lavoratori, in tempi di crisi, preferisce portare da casa il pasto e usare i buoni pasto per la spesa familiare, è altrettanto sicuro che tra commissioni alte e ritardi nei pagamenti, gli esercizi commerciali cominciano a dire no. Di conseguenza il braccio di ferro tra il settore della ristorazione e le aziende che li forniscono sta diventando un problema insostenibile. Bisognerebbe forse pensare ad un sistema di pagamento alternativo, magari sullo stipendio? In molti sperano che piuttosto che togliere del tutto questo piccolo privilegio, si possa trovare un giusto compromesso valido per tutti.
Gli interessi in ballo sono troppi tra aziende, società emettitrici ed esercenti. Chi ci rimette qualunque sia la decisione, rischia di essere il popolo numeroso di lavoratori, a tutt’oggi quasi 2 milioni che attualmente quasi sempre usufruiscono di un servizio di qualità inferiore a quanto riportato sul ticket che diventa quasi un pezzo di carta straccia. Tuttavia, il mercato che gira dietro questa soluzione aziendale muove solo in Italia, annualmente, circa 2,5 miliardi di euro.
Intorno ci sono da una parte, le società di ticket quasi tutte a capitale straniero e dall’altro gli esercenti. Al momento in cui una azienda, pubblica o privata, indice la gara per l’appalto del servizio dei buoni pasto per i dipendenti, tutte le società emettitrici che ne vengono al corrente fanno di tutto per ottenere il contratto e praticano ribassi fino al 20%.In questo modo, se facciamo l’esempio di un buono da 5 euro l’azienda appaltatrice ne paga effettivamente solo 4.Un meccanismo macchinoso ma che rischia di rovinare tutti anche perchè la società fa pagare questa situazione agli esercenti che quando vanno a riscuotere i ticket, non solo li ritrovano decurtati di almeno il 10% di commissioni, ma attendono troppo per essere rimborsati.