Le aziende italiane hanno un metodo tutto loro per combattere la crisi economica che non si capisce bene se sia finita del tutto o meno, ma in ogni caso meno adesso e più nei mesi e negli anni passati, la tecnica per aggirare il problema e restare in equilibrio sul mercato era particolare. Si riduce, infatti l’organico, si mandano con dispiacere a casa molti talenti pur di non fallire prima del tempo, ma non si riducono i salari. Del resto quelo provocherebbe davvero una rivolta interna e i lavoratori dipendenti finirebbero per lavorare di meno, male e con un senso di ripicca.
Gli stipendi, quindi, non si tagliano e le aziende italiane sanno che così raggiungeranno ugualmente i propri obiettivi, magari con molta calma però ce la faranno. Un problema resta: non solo molti colleghi continuano a rimanere a casa, ma anche viene inevitabilmente assegnato più lavoro a chi resta e certamente la paga non aumenta. Quindi niente tagli e neanche promozioni in busta paga, con la promessa che quando la recessione resterà solo un brutto ricordo le cose potrebbero pure cambiare, ma in molti non ci credono.
Uno studio su questa realtà, l’ha condotto Bankitalia e il rapporto ha il titolo “Le politiche di fissazione e aggiustamento dei salari delle imprese italiane: nessun cambiamento durante la crisi?”. Per la ricerca gli esperti hanno puntato su 17 Paesi in due fasi (all’inizio del 2008 e nell’estate 2009).In Italia, viene fuori che i salari restano quasi sempre invariati, ma cala al massimo la domanda di lavoro e le nuove assunzioni. La politica che viene adottata, dunque, è quella del contenimento dei costi per salvare comunque l’impresa e i vecchi dipendenti anche a costo di deludere i nuovi arrivati che speravano di fare carriera e di aver trovato, alla faccia della crisi, un buon posto di lavoro.