Sei una donna o un giovane laureato? Nella maggior parte dei casi il tuo stipendio sarà inferiore a quello dei colleghi uomini, anche dimezzato. Non è una esagerazione ma la conferma di uno studio appena effettuato. Moltissime ragazze, soprattutto del sud si devono accontentare di salari bassi e hanno maggiori difficoltà ad inserirsi facendo parte delle cosiddette ‘3G’. Si tratta di discriminazione in 3 aree, genere generazione e geografiche.Una immagine tragica della condizioni di lavoro nel mondo degli studi professionali resa nota da una ricerca realizzata dall’Università Politecnica delle Marche con Fondoprofessioni (Fondo paritetico interprofessionale per la formazione continua dei dipendenti degli studi professionali) e presentata ad Ancona in occasione del forum ‘Dalle pari opportunità alle opportunità di sviluppo’, organizzato da Fondoprofessioni in collaborazione con Confprofessioni (Confederazione italiana libere professioni).
I dipendenti nella maggior parte dei casi non utilizzano lo stesso trattamento per le donne e lo stesso vale per i ragazzi che hanno appena terminato gli studi e quindi sono poco esperienti. Come viene spiegato, infatti, nella ricerca: “le professioniste consapevoli del loro ruolo nel mondo del lavoro e del loro valore sociale proprio per questo spesso mascherano elementi di discriminazione e di disparità di trattamento rispetto ai colleghi di genere maschile”.
Si tratta di pregiudizi che affondano le radici nel tempo ma come riferisce la nota che hanno pure dei significativi legami con il salario: “il reddito annuo medio al 2004 di un ingegnere donna era di poco più di 20.000 euro a fronte di un reddito medio di un collega uomo di quasi 40.000 euro. Se in precedenza il mondo delle professioni si configurava come un’elite di soli uomini oggi c’è una fortissima presenza del genere femminile, anche se ancora non dominante”. In Italia le differenze si notano pure tra Nord e Sud. Qui tra l’altro i giovani sono delusi e senza più passione per ciò che fanno: “non si iscrivono agli esami di Stato per diventare professionisti, evidenziando così una forte demotivazione rispetto al futuro e alle possibilità di crescita nel mondo delle libere professioni”.