E’ bastato un programma una decina di giorni fa in televisione per gettare nello sconforto milioni di iscritti al noto social network, facebook. Quasi nessuno, infatti, sapeva che ogni piccola mossa all’interno di quello che è il passatempo preferito di almeno metà degli italiani può davvero diventare se non pericolosa almeno leggermente lesiva della nostra privacy. Tutte le volte che si mette “mi piace” su qualcosa, in tutto e per tutto si diventa veicoli di pubblicità aziendale e si rafforza un canale che ha scelto internet per far circolare un prodotto o un servizio. Questo conferma che la rete, ormai, è il migliore e più veloce mezzo per far giungere una notizia a quante più persone possibile e le imprese, infatti, hanno tutte gli occhi puntati sui social. In crescita, in questo senso, anche Twitter.
Se la privacy dell’utente non è ben protetta, tra l’altro, lo scegliere di apprezzare in senso virtuale un bene o un servizio, permette con facilità di risalire ai propri dati e, nella migliore delle ipotesi di ricevere ancora tanta altra pubblicità, virus e quant’altro. Ormai, anche chi giurava di non avvicinarsi mai a questa moderna forma di comunicazione globale, si è iscritto a facebook ed, infatti, il suo fondatore a soli 26 anni, ha raggiunto il gruzzoletto di 7 miliardi di dollari.
Per non parlare di Larry Page e Sergey Brin che alla stessa età, hanno fondato google e oggi hanno racimolato ancora di più: 15 miliardi di dollari a testa. Un FarWest digitale che, però, per alcuni, più smaliziati sembra fruttare a dismisura. Dati su dati di utenti di tutto il globo che vengono monitorati per scoprire in anticipo gusti e tendenze: è anche così che nascono i nuovi prodotti. Qualcuno poi inserisce anche cellulare e indirizzi e i pubblicitari si sfregano le mani.Dati che non rimangono a disposizione solo su facebook o Twitter, ma che possono essere trovati anche da Google, ad esempio, o da youtube, altro fondamentale strumento di condivisione. Tra milioni di video che girano, potrebbe essere cercato e scaricato pure qualcosa di personale. Intanto l’Autorità garante delle comunicazione studia un sistema per oscurare parti di siti italiani o esteri sospetti o in grado di violare il diritto d’autore.