Il raid in Libia per l’operazione “Odissea all’alba” è iniziata e l’Italia si è schierata tra i “volenterosi” per fermare le repressioni nel Paese. Ha messo a disposizione aerei e basi strategiche per muoversi insieme a Francia, Gran Bretagna e America nel nome della pace. Tuttavia, è innegabile che forti interessi economici ci siano da parte di tutti, Belpaese in primo luogo.
I legami le imprese italiane in Libia sono molto forti, perchè gli investimenti del passato non sono stati indifferenti. Si parla di grandi appalti, forniture di materie prime e maxi-commesse che rischiano di restare congelati a lungo. Una ipotesi, francamente, da scongiurare, anche perchè ci sono in ballo interessi aziendali troppo forti e le ripercussioni sui bilanci delle società sarebbero incredibili. Senza contare che un persistere della crisi in Libia, potrebbe addirittura creare qualche problema all’economia dello Stivale.
Questo il motivo principale per il quale il governo italiano pensa che sia fondamentale partecipare in prima linea alla gestione del dopo-Gheddafi, senza negare magari anche propositi ben più lodevoli. L’asse Tripoli-Roma, è stata fino ad oggi vincente e lungo questa tratta si sono mossi denaro e possibilità di sviluppo per entrambe le nazioni. Non si tratta solo di vicinanza geografica, ma di un futuro che insieme Italia e Libia potevano costruire guadagnando moltissimo. Adesso, però, l’Italia, in attuazione della risoluzione 1973 approvata il 17 marzo dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ha congelato beni di Gheddafi o di entità libiche per 6-7 miliardi di euro.
Del resto, non è una novità che la Libia si colloca al quinto posto nella graduatoria dei Paesi fornitori dell’Italia, con il 4,5 per cento sul totale delle nostre importazioni, mentre il nostro Paese rappresenta il primo esportatore, che ricopre circa il 17,5 per cento nel Paese. L’interscambio totale comprende almeno 12 miliardi di euro. La Libia risulta essere il primo fornitore di greggio e il terzo fornitore di gas per l’Italia.